Omelia XXXII - A, 8 novembre 2020 (Mt 23,1-13)

 
Ave Maria!

 

L’evangelista Matteo ha scritto il suo Vangelo in uno dei momenti più critici e gravidi di incognite per i discepoli di Gesù. Non solo la “venuta” di Gesù tardava ad arrivare, ma la fede di non pochi, per così dire, si rilassava, perdeva mordente e significato al punto che bisognava ravvivare nuovamente la prima conversione ricordando una parabola di Gesù quanto mai eccezionale e perfino drammatica. E’ la celebre parabola delle “dieci vergini”, letta nella liturgia di oggi, ma che si accompagna ad un’altra parabola raccontata dallo stesso Matteo: ci sono alcuni discepoli che “ascoltano le parole di Gesù” e “le mettono in pratica”; prendono seriamente il Vangelo e cercano subito di tradurlo in pratica di vita perché sono convinte da ciò che hanno ascoltato dal Signore. Somigliano, questi discepoli e discepole credenti, a quell’uomo “saggio che costruisce la sua casa sulla roccia”. Ma ci sono anche coloro che ascoltano le parole di Gesù e “non le mettono in pratica” perché non sono convinte - o vorrebbero essere più convinte con altri argomenti più aderenti al loro modo di essere e di pensare -, che Dio vuole condurle verso la vera vita. Sono stolti, al modo dell’uomo che “costruisce la sua casa sulla sabbia”. Il loro ascolto della Parola di Dio è un assurdo: se fosse per loro, la fede sarebbe soltanto una pura “facciata”, senza un fondamento reale ed esistenziale in Gesù.

 

Ieri come oggi, dunque, tra i cristiani ci sono senza dubbio i discepoli “veri” e i discepoli “cattivi” che ascoltano, ma poi tornano alla loro vita di sempre come se non avessero ascoltato nulla! Gesù, in altre parole, aveva ben chiara quella situazione che oggi viviamo in modo anche drammatico per la fede vera: la distinzione, cioè, tra “fede” e “credenza”. La fede vera ha fiducia, estrema e radicale, nelle “promesse di Dio” in Gesù. Si lancia, con la forza dell’amore, nell’impossibile (ai nostri occhi) di Dio e si fida di Lui fino all’ultimo, pur non sperimentando appieno nella vita di questo mondo la forza di tali promesse che sono affidate unicamente alla grazia di Dio, a Dio solo. La credenza, al contrario, è piuttosto una “miscredenza”, all’atto pratico, dal momento che fa bene i suoi calcoli prima di credere veramente a Dio in Gesù. In fondo dà più credito all’utile e al seducente per lui in quel momento, e quindi “ha dei bei giorni davanti a sé”, senza avere alcun desiderio di Dio che, nei suoi calcoli, è sempre fonte di delusioni. La credenza vuole saltare la “prova”, perfino la “debolezza” della fede e dell’amore. Si accontenta delle “apparenze”, pur di ritenersi nient’altro che una persona perbene, sacralizzando sé stessa. Così la fede diventa un’opinione teorica, più o meno convinta, che si recita – con più o meno restrizioni mentali – dicendo il Credo la domenica a messa. Si tratta qui di una questione complessa del modo di vivere la fede nel nostro tempo, e avrebbe bisogno, - lo riconosciamo -, ben altri sviluppi e delucidazioni. Tuttavia, ci basterà riflettere, anche per poco, su questa sottile e cruciale distinzione tra fede e credenza che ha ripercussioni profonde nello stile di vita di tanti cristiani di oggi.

In ogni caso, Gesù sapeva di essere portatore di un messaggio di Dio che, agli occhi umani, appare una follia o una perdita di noi stessi senza senso, e dal momento che a noi sembra impossibile vivere e realizzare ciò che promette il suo Vangelo. Sapeva che, dopo il primo entusiasmo, molti si sarebbero raffreddati, allontanati da Lui, anche perché la vita, così com’è, non sembra dare troppa ragione alle chiamate e agli inviti di Dio. La parabola delle “dieci vergini”, allora, potrebbe essere ascoltata anche sotto questo profilo di fede autentica o di semplice e inoffensiva “credenza”. E intanto non inganniamoci puntando subito la nostra attenzione sul significato segreto dell’olio che a qualcuno potrebbe sembrare soltanto un’allegoria per parlare del fervore religioso, dell’appartenenza a riti e pratiche (che però lasciano il tempo che trovano e senza cambiare nulla nel modo di essere e di vivere), o anche delle opere buone che crediamo di dovere a Dio per meritarci i suoi favori e le sue attenzioni. La parabola è piuttosto la messa in gioco della nostra “prova” per vivere la fede. Una chiamata di Dio a vivere l’adesione a Cristo in modo stringente e senza surrogati religiosi. Dunque proprio una “prova”, come lo è l’amore che, senza la “prova”, è soltanto un fuoco di paglia, al modo dell’entusiasmo passeggero e futile. Ognuno di noi, in effetti, sa bene quale sia la prova della sua fede, la prova personale che dovrà affrontare per mantenersi fedele alle promesse di Dio, senza ripensamenti o sottigliezze mentali e sociali che distruggono la fiducia radicale che esige la fede o l’amore.

Oltre questo, c’è nella parabola di Gesù, ad una profondità molto suggestiva, quel primato dell’ascolto che è il fondamento o il nucleo principale della fede biblica e, per conseguenza, della fede cristiana: è Dio che chiama: ascolta! La Parola di Dio, dunque, crea il mondo, ma soprattutto entra, per sua esclusiva iniziativa, in dialogo con l’uomo, lo chiama e lo sollecita all’ascolto. Gesù, profondamente immerso nella fede del suo popolo, lo ricorda continuamente in tutte le sue parabole e nel suo messaggio. E’ un fondamento talmente bello, suggestivo e impegnativo da richiedere, anche qui, un lungo discorso. Ci limitiamo a lasciare la parola, prima di entrare nel vivo della parabola delle “dieci vergini”, ad un eccezionale studioso (e non solo!) della fede biblica, Paolo De Benedetti, che affermava a questo proposito: “ L’incontro, il dialogo con Dio è al centro della Bibbia: ma queste parole sono abusate. Oggi si parla anche troppo di dialogo, e non si riflette che il dialogo significa parlare e ascoltare insieme, mentre l’uomo odierno sa parlare fino al logorio delle parole, ma non sa e non tollera l’ascolto, che è la libertà del parlare altrui. L’incontro, a sua volta, va chiarito: incontro a chi? E da parte di chi? L’uomo non è capace di andare incontro a Dio, e la storia biblica sta a dimostrarlo: se Dio non avesse “chiamato”, non ci sarebbe stato nessun incontro”. Bellissimo!
E comunque, confortati da questo avvertimento salutare, possiamo fare qualche altra riflessione sulla parabola delle “dieci vergini” in cui un gruppo di ragazze escono, piene di gioia, in attesa dello “sposo”, per accompagnarlo alla sua festa di nozze. Ma, fin dall’inizio, veniamo avvertiti che alcune di queste ragazze sono “stolte” e altre “sagge”, quasi come nell’altra parabola in cui si parla di costruire la casa sulla sabbia o sulla roccia. E così se le “sagge” portano con sé dell’olio per mantenere accese le loro lampade, le “stolte” non se ne danno affatto pensiero. Lo sposo tarda, tuttavia, e arriva la mezzanotte. Così le “sagge” escono con le loro lampade ad illuminare la notte, accompagnano lo sposo lungo la via ed entrano con lui alla festa di nozze. Le “stolte”, da parte loro, non sanno come risolvere il loro problema: senza più olio, le loro lampade sono spente. Non possono, dunque, accompagnare lo sposo. Quando arrivano con l’olio nuovo, è troppo tardi. La porta è chiusa.

Il messaggio di Gesù è chiaro, perfino incalzante ed estremamente serio. Lungo la vita, breve o lunga che sia, la vostra fede verrà messa alla prova da molte cose: delusioni, tentazioni, richiami ossessivi da parte del vostro egoismo e dalla vostre attese più immediate; il “mondo”, con le sue vedute e i suoi parametri di valore vi farà sentire fuori dalla realtà e dalla vostra vita, cercherà di convincervi che è più vantaggioso per voi prendere dalla vita quello che può dare anziché attendere le promesse di Dio. Vi sembrerà, spesso, che Dio stesso sembra restare in silenzio o resterete delusi da quanto potevate aspettate da Lui, in questo o in quella situazione. Non ascoltate tutto questo, ascoltate piuttosto la “voce” di Dio che è Padre e quindi vi parla con il linguaggio dell’amore e della trepidazione per i suoi figli e figli. L’amore esige la perseveranza, ma senza amore non c’è fede e non c’è quella fiducia che è si nutre di speranza.
Questo linguaggio di Gesù, verrebbe da dire questa “voce” di Gesù, non è per niente un linguaggio morale e cioè affidato alle nostre risorse umane. E’ la fiducia in Dio che fa la differenza di tutto. Dio ci chiama, ma per essere ascoltato, ed è questo ascolto, assiduo, profondo, intenso e quotidiano è quanto può alimentare la nostra fede e la nostra speranza. E dunque lasciare che si spenga in noi la speranza in Dio non è tanto un peccato, quanto piuttosto una scelta da insensati, come le ragazze della parabola che lasciano spegnere la loro lampada prima dell’arrivo dello sposo! Sono, appunto, “stolte” perché non hanno saputo mantenere viva la loro speranza e la loro fede nelle promesse di Dio. Non si sono preoccupate, dopo tutto, della cosa più importante che può fare l’essere umano: aspettare il Signore che viene, - e viene di sicuro -, fino alla fine.

Non è facile oggi, - dobbiamo ammetterlo -, ascoltare un messaggio così esigente. Abbiamo perso la capacità di vivere intensamente qualcosa in modo duraturo o perseverante. Lo scorrere del tempo, delle vicissitudini umane, logora tutto. L’uomo dei nostri giorni è davvero l’uomo del “carpe diem”, dell’afferrare tutto e subito, perché non ha certezza di nulla. Per questo è affascinato solo dai venditori di benessere, di felicità, dalla pubblicità, dal sentirsi nel migliore dei “mondi possibili” e incapace di ascoltare una voce diversa e più vicina al suo cuore. In povere parole, sente le cose, ma non l’anima che è l’unica possibilità che abbiamo di sentire qualcosa di “vivente”, di unico e di assoluto. Si volge così ai surrogati, ai suoi idoli che poi lo abbandonano nei momenti più drammatici e seri della vita. Una vita sprecata, davvero senza senso. Gesù, invece, con la sua parabola delle “dieci vergini” ci dice che la nostra vita è preziosa come un incalcolabile tesoro che possediamo e che possiedono tutti gli uomini e le donne di questo mondo. Non si può dare la vita a chiunque o a tutti i chiacchieroni che devono vendere la loro insensatezza sul significato vero della vita umana. Ma questa vita è legata a Dio, che lo vogliamo comprendere o meno, e senza questo legame con Dio, fino all’ultimo, ora sì potrebbe non avere quel valore e quel significato che le attribuisce la parola del Vangelo.
Noi, quindi, possiamo perdere Dio nella nostra vita, ma quello che è sorprendente e anche incredibile (ai nostri occhi) è il fatto che Gesù non perderà noi: “ Se siamo infedeli lui rimane fedele, - dirà san Paolo -, perché non può rinnegare sé stesso” (2 Tim 2,13). E quando tutte le lampade si saranno spente, quando anche noi saremo immersi in un sonno profondo, se abbiamo perseverato nella fede, nella speranza e nella fiducia dell’amore del Padre, sarà Gesù a venirci incontro e ci sorprenderà con il suo arrivo dove risuonerà quel grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Ed è allora che verranno separate le vergini “sagge” da quelle “stolte”, forse perché quell’olio è semplicemente il fatto di non aver mai dubitato dell’arrivo dello Sposo, di aver sperato contro ogni speranza, di aver creduto fino alla fine sulla sua Parola: “ Chi crede in me ha la vita eterna” (Gv 3,15). Una vita vivente! Amen.

 


don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 7 novembre 2020

 

 

 

 

 

 

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